lunedì 21 febbraio 2011

Intervista a Cesare Basile

Musica Sotterranea incontra Cesare Basile.
A quasi tre anni dall'ultimo "Storia di Caino", il cantautore siciliano torna con un nuovo album intitolato "Sette pietre per tenere il diavolo a bada" e in uscita il prossimo 11 marzo per la Urtovox.
(Intervista a cura di Stefano Grimaldi)



-Ciao Cesare, come stai?
Abbastanza bene. Mi guardo intorno.
  
-Il prossimo 11 marzo uscirà il tuo nuovo disco per la Urtovox, intitolato “Sette Pietre Per Tenere Il Diavolo A Bada”. E’ un titolo che suscita inevitabilmente curiosità. Come mai questa scelta?
Diciamo che è uno scongiuro suggeritomi dal caso mentre stavamo mixando il disco. Uno scongiuro venuto fuori a risolvere un paio di problemi che ci stavano complicando il lavoro e, visto che il caso è sempre un'indicazione, ho adottato il suggerimento come titolo del disco.



-Nel disco affronti i temi della fede e della guerra, due temi sempre attuali e collegati tra loro. Cosa ti ha spinto ad incentrarti su di essi?
Questa della guerra è una svista dell'ufficio stampa, non ho mai parlato di guerra nelle mie note, però è anche vero che gli ultimi anni sono stati anni di guerra e che in qualche modo le mie canzoni ne sono state influenzate. Sicuramente è una raccolta di canzoni accomunate dallo "scontro". Vite che scelgono o si trovano nello scontro. Vite contro istituzioni. 
 
-Non manca la tua terra: la Sicilia. Sei parte integrante del progetto L’Arsenale, Federazione Siciliana delle Arti e della Musica, nato per promuovere e proteggere la cultura siciliana ma anche per sconfiggere la voglia di andarsene altrove per costruirsi un futuro. Cosa ti lega maggiormente alla Sicilia? E che ruolo ha nell’ispirazione dei tuoi album?
Alla Sicilia mi lega l'esserci nato. Essere nel bene e nel male un groviglio di tutto quello che rappresenta, le sue contraddizioni, i suoi slanci improvvisi, le sue sconfitte. Sono stato per anni in fuga, nutrendo la mia fuga col risentimento, accusando la Sicilia di essere maledizione e causa. Poi ho elaborato il dolore e oggi, con iniziative come quella de L'Arsenale, voglio esserne di nuovo parte, imparare ad amarla. 

-Nel disco parli anche di ribellione, paura e coscienza civile, parole che suonano familiari in questi tempi di crisi economica, politica e sociale che toccano un po’ tutti i Paesi. Cosa rappresentano per te queste tre parole, legate al concetto di dignità?
La ribellione è un diritto, la coscienza civile una disciplina. La paura è il tentativo del potere di negare il diritto alla ribellione e la disciplina della coscienza civile. La dignità sta nel ricordarsi di essere nati liberi, nella coscienza che una società che ti chiede di rinunciare alla tua libertà in nome del profitto è una società che ti offende. 


-Quali sono le ispirazioni musicali e quali le letterarie per questo disco?
Potrei risponderti "quelle di sempre", rivedute e corrette. Tutto quello che leggo e ascolto confluisce alla rinfusa nelle mie canzoni. 

-In cosa si discosta il nuovo disco dal precedente? E in cosa ne è un proseguimento?
Non l'ho ancora capito, ho sempre l'impressione di trovarmi in balia dello stesso flusso. Mi serve tempo.

-Sono tanti gli ospiti che hanno collaborato al disco: Alessandro Fiori, Enrico Gabrielli, Rodrigo D’Erasmo, Roberto Dell’Era e Roberto Angelini, per citarne solo alcuni. Da cosa è nata questa esigenza?
E' una cosa che ho sempre fatto. Tutti i miei dischi sono pieni di ospiti. Se non chiami gli amici, che senso ha fare un disco? Io voglio i miei amici a strapparmi le canzoni, a farle diventare altro da me, e poi così ogni disco è una festa nuova. 

-Stavolta non compare il nome di John Parish. Come mai?
Non c'è stato il tempo nè il modo di organizzarci. E poi questo è stato un lavoro concepito, scritto e prodotto in due anni, quando e dove capitava, a differenza degli altri che, almeno in fase di registrazione e produzione, hanno avuto tempi definiti. Alla fine è stato molto interessante confrontarmi con la produzione di un mio disco (lavoro che solitamente faccio per altri), vedere quanto riuscivo a staccarmi dalle canzoni per produrle. 


-Il tuo percorso musicale è da sempre intriso di una poetica e di una sensibilità che ti hanno reso un cantautore di spicco nella musica d’autore italiana. Ti ritieni un intellettuale?
No, sono solo uno che scrive canzoni, che ascolta, legge, impara, dimentica, prova a tenere a mente e si innamora delle parole e dei suoni. 

-La poesia può salvare il mondo?
La poesia può raccontarlo e la bellezza aiutarci a sedare la rabbia a momenti. 

-Nei tuoi album precedenti, come in questo, si notano molte affinità con Fabrizio De Andrè. Quanto ha influito sulla tua formazione musicale e poetica?
Oggi sembra che tutti non facciano altro che ascoltare De Andrè. Tutti hanno in casa un disco di De Andrè. Chiunque riconosce in De Andrè il migliore dei nostri poeti. Ma se è così, come mai gli uomini e le donne raccontate da De Andrè sono quelli che più vengono isolati e cancellati?

-Quanto segui la scena musicale italiana e quanto quella straniera?
Io provo a stare dietro alla buona musica, solo a quella. 


-C'è un disco che ti ha cambiato la vita?
Ci sono dischi che mi fanno venire voglia di scrivere canzoni, quelli di Leonard Cohen per esempio. 

-E un libro?
"Fuoco Fatuo" di Drieu La Rochelle.

-Come si svolge la tua giornata tipo quando non sei in tour?
Cioè nella maggior parte del mio tempo, visto che in Italia suonare è diventato un privilegio e un lusso difficile da permettersi...leggo, suono, costruisco chitarre con le scatole da sigari, bevo birra.

-Sei superstizioso?
Sono siciliano.

-Se dovessi utilizzare tre aggettivi per il tuo nuovo disco, quali sceglieresti?
Tre aggettivi in una volta suonano male.          

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